Il buto inizia in Giappone dopo Hiroshima, dopo una esperienza collettiva di distruzione e morte,
nato dopo una catastrofe, come un grido di ribellione contro quella  cultura troppo rigida e strutturata che l'ha generata. Un grido che  cresce con la forza di uno scandalo, si impregna di rivendicazioni e si  confonde con i movimenti di protesta giovanile ma viene riconosciuto  ufficialmente soltanto nel 1985, con il primo Festival Buto di Tokyo.Il buto esprime il bisogno della cultura giapponese di rompere i suoi  stessi argini e di uscire da secoli di "compressione". E' la protesta  contro la cultura borghese dominante, attraverso il totale rifiuto delle  tecniche esistenti e della riduzione del corpo a strumento espressivo.  Ma è nello stesso tempo l'affermarsi di una nuova filosofia del corpo  che cerca la terra e il contatto col il suolo come la propria essenza e  per la prima volta riflette attraverso la danza un aspetto oscuro  dell'esistenza. 
Il mondo procede verso una globalizzazione della cultura ed è  il corpo  il luogo meno suscettibile di omogeneizzazione. E il buto è l'estrema  manifestazione di quello spazio fisico, il corpo, grazia al quale l'uomo  fa ancora parte della vita e della natura;  lì  sono iscritti i segni  che caratterizzano ogni individuo: la sua appartenenza ad un luogo, la  sua origine etnica e sociale, le sue esperienze di vita, ma sopratutto  secondo  A. Lowen "è il corpo, il luogo dell'anima", come affermava già  l'antica saggezza:  il corpo è il "tempio dell'anima"
Diversamente della danza tradizionale, che è un mezzo per comunicare  qualcosa già stabilita in precedenza, nel buto, la danza si trova già  all'interno del corpo, cosi come Michelangelo sosteneva che l'immagine  si trovava già dentro alla pietra. Sia l'immagine dentro la pietra che  la danza dentro al corpo appartengono a quella memoria individuale e  collettiva, accumulata nel corso del tempo e che riguarda non soltanto  gli esseri umani ma anche gli animali oppure gli oggetti. Il danzatore,  rinunciando a presentarsi sulla scena come veicolo di un messaggio,  lascia apparire questa memoria  esibendo semplicemente il suo corpo come  presenza. Il primo passo in direzione del buto è quindi la "rinuncia a  esprimere". Non volendo esprimere nulla, il danzatore si trasforma nel  palco scenico in un "corpo morto" che esiste sulla scena come elemento  naturale, una sorta di materia che non avendo alcuna volontà espressiva,  fa ascoltare la sua voce segreta, e rivela la sua esistenza lasciando  trasparire la memoria.
Affinché questo processo si verifichi, il danzatore deve vivere il  presente, essere consapevole del proprio spazio interno e esterno, ma  soprattutto, non pensare. Kazuo Ono, il  grande "padre" del buto, che  tra l'altro danza ancora con i suoi 97 anni, afferma che "non bisogna  usare troppo la testa. Per amare la vita, ci si deve concentrare  fondamentalmente su stomaco e intestino." Il buto è il sottosuolo del Giappone e contiene la sua ombra  gigantesca, ma è contemporaneamente una critica e una sfida alla società  materialista che lo ha generato. In un certo senso il buto è un altro  miracolo giapponese: è l'antitesi e antidoto del miracolo economico ed è  il suo totale rifiuto dei valori di quel materialismo. La danza delle  tenebre evoca ciò che ancora non "è", che ancora non esiste ma potrebbe  nascere da una vita che ancora pulsa dentro di noi. Sprigiona e  trasforma energie, libera le nostre potenzialità contenute nelle  insondabili profondità dell'inconscio collettivo, restituisce all'uomo  la sua istintualità e la sua forza primitiva, che vive ancora  nell'amore, nel desiderio, ma anche nel delitto, nella crudeltà, nella  pazzia.
Nel buto  il silenzio e l'immobilità  sono densi e carichi di  significato. Gli spettacoli sono caratterizzati da una fisicità cosi  potente che cattura, arriva diritto ai nostri sensi. Da un certo punto  di vista ci ricorda il teatro di Grotowski ed una visione dell'attore  che trascende la propria coscienza  ed agisce in un "stato di trance":  "il corpo svanisce, brucia e lo spettatore non vede che una serie di  impulsi visibili". 4
Ma nel buto, dietro alle immagini non ci sono simbolismi né significati  reconditi, i danzatori nei loro corpi fin troppo umani portano in scena  pure visioni dell'inconscio. A sostenere il movimento, nessuna regola né  una grammatica gestuale, solo la forza del desiderio e dell'istinto e  in questa metamorfosi del corpo c'è tutta la sua ribellione contro la  violenza della cultura.Psicologicamente il tempo del buto è il tempo che l'ego prende per  disperdersi nell'area, è il tempo in cui scompaiono le caratteristiche  individuali, il tempo che serve al corpo corazzato per cancellare se  stesso. Nel teatro giapponese questo stato viene considerato "esperienza  dello stato di muga", quello stato di completa armonia con l'ambiente  che nella pratica zen può portare all'azione perfetta. Come un maestro  zen, il danzatore di buto è uno con le sue azioni e con il mondo. E'  profondamente se stesso e allo stesso tempo è privo di sé.
La trance e l'abbandono della coscienza sembrano essere il cuore pulsante del buto.
Nella cultura giapponese la trance non costituisce uno stato di "unità  con il divino", quanto un mezzo per addestrarsi alla perfezione, un  stato attraverso il quale l'uomo impara ad agire in modo "univoco e  infallibile", in termini transpersonali questo significa agire al di la  dei propri confini egoici, in funzione della totalità. Questo stato di  virginità psicologica, che nella tradizione religiosa significa agire  secondo il volere di Dio, è un azione "pura", se per purezza intendiamo  ciò che non è contaminato da desiderio personale.
Oggi le caratteristiche soggettive del buto e il suo training vengono  indicati come strumenti di esplorazione e integrazione psicosomatica.
Attraverso il buto e la sua libertà espressiva che trascende lo stesso  desiderio di espressione, il corpo può diventare uno spazio attraverso  il quale possono venire attivati  contenuti profondi ed acquisire così  rinnovata forza quelle parti di sé sepolte nell'inconscio, altrimenti  rimosse e abbandonate. Attraverso i  movimenti e le  espressioni che  emergono quando "rinunciamo a esprimere" e contattiamo il nostro corpo  in quanto elemento naturale,  possiamo  ascoltare e tradurre "la sua  voce segreta" e fare emergere i contenuti della  memoria corporea, sia  individuale che collettiva.
Il buto è una via e una possibilità. E' una porta aperta, una porta che  una volta spinta fa uscire quello che c'e oltre. Dell'altra parte  possiamo incontrare e possiamo danzare le nostre ferite, le nostre   paure, i nostri dolori e forze anche ciò che ci può salvare. Come  sostiene Kazuo  Ono "bisogna danzare i nostri dolori".
Nessun commento:
Posta un commento