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sabato 13 novembre 2010

danza Buto

Il buto inizia in Giappone dopo Hiroshima, dopo una esperienza collettiva di distruzione e morte,
nato dopo una catastrofe, come un grido di ribellione contro quella cultura troppo rigida e strutturata che l'ha generata. Un grido che cresce con la forza di uno scandalo, si impregna di rivendicazioni e si confonde con i movimenti di protesta giovanile ma viene riconosciuto ufficialmente soltanto nel 1985, con il primo Festival Buto di Tokyo.Il buto esprime il bisogno della cultura giapponese di rompere i suoi stessi argini e di uscire da secoli di "compressione". E' la protesta contro la cultura borghese dominante, attraverso il totale rifiuto delle tecniche esistenti e della riduzione del corpo a strumento espressivo. Ma è nello stesso tempo l'affermarsi di una nuova filosofia del corpo che cerca la terra e il contatto col il suolo come la propria essenza e per la prima volta riflette attraverso la danza un aspetto oscuro dell'esistenza.
Il mondo procede verso una globalizzazione della cultura ed è il corpo il luogo meno suscettibile di omogeneizzazione. E il buto è l'estrema manifestazione di quello spazio fisico, il corpo, grazia al quale l'uomo fa ancora parte della vita e della natura; lì sono iscritti i segni che caratterizzano ogni individuo: la sua appartenenza ad un luogo, la sua origine etnica e sociale, le sue esperienze di vita, ma sopratutto secondo A. Lowen "è il corpo, il luogo dell'anima", come affermava già l'antica saggezza: il corpo è il "tempio dell'anima"
Diversamente della danza tradizionale, che è un mezzo per comunicare qualcosa già stabilita in precedenza, nel buto, la danza si trova già all'interno del corpo, cosi come Michelangelo sosteneva che l'immagine si trovava già dentro alla pietra. Sia l'immagine dentro la pietra che la danza dentro al corpo appartengono a quella memoria individuale e collettiva, accumulata nel corso del tempo e che riguarda non soltanto gli esseri umani ma anche gli animali oppure gli oggetti. Il danzatore, rinunciando a presentarsi sulla scena come veicolo di un messaggio, lascia apparire questa memoria esibendo semplicemente il suo corpo come presenza. Il primo passo in direzione del buto è quindi la "rinuncia a esprimere". Non volendo esprimere nulla, il danzatore si trasforma nel palco scenico in un "corpo morto" che esiste sulla scena come elemento naturale, una sorta di materia che non avendo alcuna volontà espressiva, fa ascoltare la sua voce segreta, e rivela la sua esistenza lasciando trasparire la memoria.
Affinché questo processo si verifichi, il danzatore deve vivere il presente, essere consapevole del proprio spazio interno e esterno, ma soprattutto, non pensare. Kazuo Ono, il grande "padre" del buto, che tra l'altro danza ancora con i suoi 97 anni, afferma che "non bisogna usare troppo la testa. Per amare la vita, ci si deve concentrare fondamentalmente su stomaco e intestino." Il buto è il sottosuolo del Giappone e contiene la sua ombra gigantesca, ma è contemporaneamente una critica e una sfida alla società materialista che lo ha generato. In un certo senso il buto è un altro miracolo giapponese: è l'antitesi e antidoto del miracolo economico ed è il suo totale rifiuto dei valori di quel materialismo. La danza delle tenebre evoca ciò che ancora non "è", che ancora non esiste ma potrebbe nascere da una vita che ancora pulsa dentro di noi. Sprigiona e trasforma energie, libera le nostre potenzialità contenute nelle insondabili profondità dell'inconscio collettivo, restituisce all'uomo la sua istintualità e la sua forza primitiva, che vive ancora nell'amore, nel desiderio, ma anche nel delitto, nella crudeltà, nella pazzia.
Nel buto il silenzio e l'immobilità sono densi e carichi di significato. Gli spettacoli sono caratterizzati da una fisicità cosi potente che cattura, arriva diritto ai nostri sensi. Da un certo punto di vista ci ricorda il teatro di Grotowski ed una visione dell'attore che trascende la propria coscienza ed agisce in un "stato di trance": "il corpo svanisce, brucia e lo spettatore non vede che una serie di impulsi visibili". 4
Ma nel buto, dietro alle immagini non ci sono simbolismi né significati reconditi, i danzatori nei loro corpi fin troppo umani portano in scena pure visioni dell'inconscio. A sostenere il movimento, nessuna regola né una grammatica gestuale, solo la forza del desiderio e dell'istinto e in questa metamorfosi del corpo c'è tutta la sua ribellione contro la violenza della cultura.Psicologicamente il tempo del buto è il tempo che l'ego prende per disperdersi nell'area, è il tempo in cui scompaiono le caratteristiche individuali, il tempo che serve al corpo corazzato per cancellare se stesso. Nel teatro giapponese questo stato viene considerato "esperienza dello stato di muga", quello stato di completa armonia con l'ambiente che nella pratica zen può portare all'azione perfetta. Come un maestro zen, il danzatore di buto è uno con le sue azioni e con il mondo. E' profondamente se stesso e allo stesso tempo è privo di sé.
La trance e l'abbandono della coscienza sembrano essere il cuore pulsante del buto.
Nella cultura giapponese la trance non costituisce uno stato di "unità con il divino", quanto un mezzo per addestrarsi alla perfezione, un stato attraverso il quale l'uomo impara ad agire in modo "univoco e infallibile", in termini transpersonali questo significa agire al di la dei propri confini egoici, in funzione della totalità. Questo stato di virginità psicologica, che nella tradizione religiosa significa agire secondo il volere di Dio, è un azione "pura", se per purezza intendiamo ciò che non è contaminato da desiderio personale.
Oggi le caratteristiche soggettive del buto e il suo training vengono indicati come strumenti di esplorazione e integrazione psicosomatica.
Attraverso il buto e la sua libertà espressiva che trascende lo stesso desiderio di espressione, il corpo può diventare uno spazio attraverso il quale possono venire attivati contenuti profondi ed acquisire così rinnovata forza quelle parti di sé sepolte nell'inconscio, altrimenti rimosse e abbandonate. Attraverso i movimenti e le espressioni che emergono quando "rinunciamo a esprimere" e contattiamo il nostro corpo in quanto elemento naturale, possiamo ascoltare e tradurre "la sua voce segreta" e fare emergere i contenuti della memoria corporea, sia individuale che collettiva.

Il buto è una via e una possibilità. E' una porta aperta, una porta che una volta spinta fa uscire quello che c'e oltre. Dell'altra parte possiamo incontrare e possiamo danzare le nostre ferite, le nostre paure, i nostri dolori e forze anche ciò che ci può salvare. Come sostiene Kazuo Ono "bisogna danzare i nostri dolori".

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